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10 Aprile 2017 - G7, Lucca

G7 Lucca – 10 Aprile 2017

Il mio G7

 

G7 – Ministers of foreigns affairs meeting. Lucca.

Racconto di un “fotografo” incosciente.

 

Foto di Salvatore Scuotto

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©  Tutti i diritti riservati

10 Aprile 2017 - G7, Lucca

 

Il 10 Aprile si è svolto il G7 a Lucca.

Questo è il primo lavoro di “reportage fotografico” che ho realizzato.
Perché il virgolettato?

Perché non sono un fotoreporter di professione e mai mi paragonerei a questi grandi professionisti.

Come dicevo il 10 e 11 Aprile si è svolto il G7 di Lucca.
Passato piuttosto in sordina sui telegiornali, praticamente non ne ha parlato nessuno.
Le uniche notizie erano sulle reti locali della toscana e ovviamente su internet.

 

 

Ma perché ho scelto di cimentarmi in questa esperienza? Per un libro.
Si, un libro di Mario Calabresi dal titolo “A occhi aperti“. Uno dei primi libri che io abbia mai letto sulla fotografia.

Raccontano i momenti in cui la storia si è fermata in una foto

Così dice la copertina, sotto i nomi di quelli che sono riconosciuti come alcuni dei fotografi più importanti del nostro tempo e del 900.

  • Steve McCurry
  • Alex Webb
  • Josef Koudelka
  • Gabriele Basilico
  • Don McCullin
  • Abbas
  • Elliot Erwitt
  • Paolo Pellegrin
  • Paul Fusco
  • Sebastião Salgado

Il libro è dedicato ad alcune interviste che Mario Calabresi ha fatto a questi grandi fotografi, alle storie dietro ai loro scatti, al loro modo di vedere e percepire la fotografia, di raccontarla, di viverla.

 

 

Il G7

Già dal giorno prima mi ripetevo che dovevo andare alla manifestazione che ci sarebbe stata il giorno successivo.
Lo ammetto, avevo paura. Sappiamo ormai bene come queste occasioni siano spunto per scontri molto violenti.
Ho vissuto a Genova e ricordo ancora bene i tre giorni di “guerra” svoltasi nel 2001 in occasione del tristemente noto G8.

 

Ma c’erano alcune frasi che mi risuonavano nella testa ed erano le parole di Robert Capa (fondatore insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger and William Vandivert, nel 1947, di una delle più prestigiose ed importanti agenzie fotografiche al mondo, Magnum Photos), di Steve McCurry, di Paolo Pellegrin.

Quelle parole che mi risuonavano in testa e che racchiuderò in una mia personale sintesi dicevano…

 

Se vuoi davvero raccontare devi esserci, devi viverlo, e non da lontano ma in mezzo a ciò che accade

 

Il mattino del 10 Aprile ancora combattevo con me stesso e con le mie ansie. La mia compagna, a cui ne avevo parlato la sera precedente, era comprensibilmente preoccupata, ancor più perché molto distante.
Ricordo che quella mattina le mandai un messaggio scrivendole che avrei accompagnato i miei anziani genitori al supermercato. Era per tranquillizzare lei ma anche me stesso.
Questo perché la manifestazione si sarebbe svolta nel pomeriggio e io avevo bisogno di normalità.

 

 

Mi ripetevo che avrei rischiato grosso in caso di violenti scontri, che non era necessario andarci, c’erano già tanti fotografi, reporter, giornalisti.
Ma quelle parole continuavano a risuonare insistentemente nella mia mente. Era diventata una necessità. Dovevo sapere, dove provare e nel farlo lo avrei fatto il più possibile senza pregiudizi e con la mente aperta.

Alle 15:30 uscivo di casa e mi avviavo verso la manifestazione contro il G7 con le mie paure, la mia bicicletta, ma anche con un’immensa forza che la fotografia mi stava donando.
Si perché la fotografia è quella che più di ogni altra cosa mi sta dando coraggio, un nuovo modo di vedere, di percepire, di raccontare, di capire e come nella vita se non hai coraggio resti al palo.
Forte anche di questo raggiungevo il corteo.

 

 

Raggiunsi i manifestanti dal fondo, chiusi nel loro corteo da diversi celerini di polizia, camionette dei carabinieri insieme a macchine e agenti in borghese.

Il corteo era composto da poche centinaia di manifestanti e questo aiutò a tranquillizzarmi.
Tutto si svolgeva pacificamente e con grande ordine, merito che va dato anche agli organizzatori (anche se, colpa dei “soliti”, un paio di ore dopo ci sarebbero stati degli scontri d’avanti a Porta San Jacopo).

Era tutto nuovo per me e ancora dovevo decidere il mio quadro d’insieme. Dare un senso ai miei scatti.

Una parte di me, egoisticamente e con tutta l’incoscienza di cui non sapevo essere capace, si augurava scene epiche da catturare. Scontri, fumogeni, idranti, cariche, persone o agenti feriti.
Questo è quello che immaginiamo quando parliamo dei grandi reporter in zone di conflitto o a manifestazioni molto sensibili, e affascinati da queste immagini e dal coraggio dei grandi fotografi cerchiamo di emularli.
Però io non ero li per il Pulitzer e nemmeno ero tra i fotografi accreditati, con il loro tesserino. Non era mia intenzione vendere i miei scatti.

Non avevo nemmeno un pezzo di carta con su scritto press e neanche un casco per ripararmi da eventuali manganellate, avevo solo una bottiglietta d’acqua nel caso di lancio di fumogeni (unica cosa a cui avevo pensato), la mia bicicletta e un piccolo stupido sogno.
Ero li per me stesso, ero li per la fotografia e per il mio percorso.

 

 

Quello che segue è il mio racconto di quel pomeriggio e dei “miei” protagonisti che racconta più di tante parole il mio G7.
Fatto di sorrisi, di tensioni, di espressioni, di sguardi e risa, di giovani e meno giovani, insieme per uno scopo comune, di luci, ombre, di sorrisi da parte delle forze dell’ordine; immagine questa che non viene mai abbastanza mostrata (vende poco).

 

 

Ho cercato di raccontare questa manifestazione senza pregiudizi , idee politiche, schieramenti.
Credo di aver trovato un filo conduttore ma non voglio riportarvelo, vorrei che foste voi a riconoscerlo.
E’ vero è stato un giorno come un altro ma è stato il mio piccolo grande giorno:)

 

 

P.S. Per dovere di cronaca devo riportare degli scontri tra alcuni manifestanti, o anche detti infiltrati, con le forze dell’ordine ma io non ero li in quel momento.
Il mio modo di vivere quel pomeriggio (e la mia inesperienza), mi avevano fatto pensare che non ci sarebbe stato nessuno scontro.
Forse è meglio così. Mi piace pensare che se fossi stato li, quelli scatti avrebbero in qualche modo inquinato questo racconto, o forse no…chi lo sa.

Salvatore Scuotto

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